giovedì 14 giugno 2012

Il ritorno della pausa (di Gillo Dorfles)


Il ritorno della pausa
di Gillo Dorfles

Proprio oggi, forse, quando sembra che tutto congiuri a favore della ragione, l'artista cerca qualche volta di sfuggire. Forse, proprio un minimo quoziente di irrazionalità e di indeterminatezza potrà ancora costituire il germe per le creazioni future; prima che le paratie stagne della lucidità, della assolutezza, abbiano spento anche gli ultimi echi di quelle che furono le voci del desiderio, dell'ironia, o dell'angoscia.
Per queste ragioni il materiale minimoossia lo schizzo, l'abbozzo, il non-finito, l'embrionale, il magmaticoe forse di megliodell'Opus Magnum: il Poema, la Statua, il Romanzo, la Sinfonia.
Tutte le scorie che lo scrittore strappa al suo poema, o al suo racconto; tutti i minuti arabeschi che il ppittore cancella con le sovrapposte stesure di colore; tutti i ripensamenti poetici, musicali, pittorici, che rimangono lettera morta destinata al cestino dell'immondizie, sono invece spesso le uniche germinali intuizioni da cui può prendere l'avvio l'opera autentica.
È, allora, in questo intervallo tra il momento ancora miocinetico del gesto e quello ponderato della costruzione che si celanon sempre ma spessol'unica traccia di quel tempuscolo o corpuscolo di nuovo, di genuino, di automatico, di cui noi stessi non ci eravamo accorti, ma che costituisce l'unica autentica base d'ogni nostra successiva creazione.
Ed è anche il punto di contattoquasi il corto-circuitotra segno e immagine, tra parola e segno, tra suono e parola; tra immagine e scrittura, che, in questi minimi componimenti, rivela le analogie e insieme i contrasti tra le diverse arti. Il pittore che non osa scrivere, lo scrittore che non osa disegnare, spesso riesce a ritrovare nel linguaggio che non gli è proprio, di cui non è schiavo, (per antico mestiere o per cristallizzata consuetudine) quella freschezza di espressione che solo l'ingenuo o l'inesperto possiedono. È il ritorno al naif dell'iperevoluto; è la rivincita dello sgrammaticato, dell'asintattico, dell'ambiguo, che, ancora una volta, ci fa riflettere sulla grande verità di chi afferma che l'arte è soprattutto estraneamento dalla realtà cotidiana, lotta contro il contesto che di solito la imprigiona, rivendicazione di quell'elemento di pausa intervallare, nel quale ogni nostro segno-gesto-parola riacquista quel potere magico (e insieme apotropaico) che un tempo possedeva e che solo la «civiltà della ragione» è riuscita a spegnere.